La Vetta degli Dei | Recensione: la solitudine e magnificenza della montagna
Contemplativo e poetico: con questi due aggettivi descriverei il film d’animazione distribuito da Netflix nel novembre 2021.
La Vetta degli Dei (Le Sommet des dieux) adatta l'omonimo manga del 2000 di Taniguchi Jirō che, grazie al regista Patrick Imbert, ci immergerà in una storia di tenacia e solitudine.
Il lungometraggio, prodotto tra Francia e Lussemburgo, racconta della storia di
Makoto Fukamachi, un foto-reporter giapponese che viene a scoprire
dell'esistenza di una macchina fotografica appartenuta a George Mallory,
un alpinista (realmente esistito) che morì nel 1924 tentando la scalata
dell'Everest.
Fukamachi inizierà ad indagare su quest'ultimo e scoprirà la storia di Joji
Habu (che possiede la macchinetta), un promettente alpinista uscito però
dai radar da molti anni, che ci verrà raccontata nel corso di tutto il film.
Ho trovato
questo lungometraggio incantevole, con un ritmo che è si pacato, ma allo stesso
avvincente: grazie alle bellissime immagini, l’opera ci accompagna in
un’avventura fatta di tenacia, passione e pericolo che si svolge tra Tokyo, il
Nepal e il Monte Everest (che rappresenta appunto la vetta degli dei).
Seguiamo quella che è a tutti gli effetti un’indagine portata avanti da Fukamachi, godendo di rapporti umani convincenti e realistici; i personaggi sono ben scritti, così come lo sono i loro dialoghi: le frasi scambiate tra i personaggi non sono molte, l’opera comunica perlopiù a livello visivo, ma quando accade si tratta di discorsi sempre significativi, senza una parola di troppo.
Come
accennato, questo prodotto animato comunica soprattutto visivamente, e infatti
su questo fronte il film è davvero suggestivo, con scorci di montagne che
paiono dei quadri e un livello delle animazioni ottimo.
Queste, realizzate interamente con tecnica tradizionale, sono sempre curate e
abbastanza fluide: non troviamo quasi mai sequenze concitate, ma quelle poche
riescono a trasmettere magistralmente la tensione e la paura allo/a
spettatore/spettatrice.
Il tutto viene reso ancora più suggestivo dalla magnifica colonna sonora di Amin Bouhafa, che trasmette molte emozioni e a parer mio svolge una buona parte del lavoro per la riuscita del film: la musica ci fa vivere la solitudine e la bellezza delle montagne, nonché la paura e la sfida che esse danno all’uomo.
Si tratta infatti di luoghi estremi, inadatti alla vita. Penso che madre natura non si aspettasse che un umano si sarebbe prima o poi spinto fin lì. Ma, come ben sappiamo, la nostra specie ama l’esplorazione e la sfida, e questo si concretizza in alcuni individui eccezionali come Habu e George Mallory (al quale il film fa tributo), che mettono a rischio la propria vita per raggiungere certi traguardi.
In conclusione, non posso che non consigliare vivamente quest’opera: si tratta di un film umanamente potente che vi farà pensare alla vita e a ciò che essa rappresenta grazie a immagini e suoni spettacolari. Qualcuno/a potrebbe pensare che quest’opera, per il suo tema trattato, avrebbe potuto essere realizzata anche dal vero (in live action), ma io non sono d’accordo: è anche in questi casi che un prodotto animato riesce a mostrare il meglio di sé, presentandoci una storia in modo molto più poetico e potente di quanto immagini reali potrebbero fare.
Voto: 8,5
Fonte copertina: www.catsuka.com
Nota a margine: Ebbene, Netflix ha sfornato un'altra opera d’animazione di alto livello. La grande N sta ormai diventando un punto di riferimento per l’animazione producendo opere di pregevolissima fattura e spingendo al massimo questo medium (basti pensare a Klaus, Love, Death & Robots, Arcane, Castelvania, I Mitchell contro le macchine e tante altre che arriveranno in futuro). Sicuramente mi spiace non poter godere di alcuni film al cinema (ad esempio questo sarebbe stato indubbiamente spettacolare in sala), ma d’altro canto senza Netflix queste opere non esisterebbero, quindi gli sono riconoscente.
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